venerdì 22 aprile 2016

Processo contro Mario Vanni +3 - Udienza del 19 marzo 1998 - Prima parte

PRESIDENTE: Prego, avvocato Filastò.
Avvocato Filastò: Presidente, Giudici della Corte, io ho ascoltato, ho sentito dal Pubblico Ministero - al quale io intendo replicare, quasi esclusivamente a lui, cercando di mantenere il discorso nei termini di una replica - alcune amplificazioni con accenti di riprovazione che finiscono, come dire, per trasferirsi dall'imputato anche al difensore. Vorrei cominciare parlandovi di alcune cose che accorciano la vita di un avvocato. Facendo tutti i debiti scongiuri, vero, per carità! Una delle quali è il "sangue agli occhi” - per dire che tante volte i toni si alzano - il sangue agli occhi che viene quando si ascolta, dalla parte dialetticamente avversaria, il dato processuale chiaro, evidente documentale, incontrovertibile, artificiosamente travisato. Vi faccio'un esempio: nel corso della sua seconda replica,Pubblico Ministero, parlando di quel documento che riguarda questa 124 - ci torneremo poi dopo - ha detto che nell'atto, nella scrittura privata autenticata il 3 luglio dell'85 non era previsto Lotti Giancarlo. Testuale. Come si fa... voglio dire, ma basta leggerlo, no? C'è scritto: "Addì..." Eccetera, "Formalità presentata il 01/04/86, si trascrive scrittura privata il 03/07/85 di trasferimento della proprietà a favore di Lotti Giancarlo." Questo discorso che non era previsto il Lotti Giancarlo doveva supportare l'ipotesi del mandato a vendere. E questo non è un mandato a vendere, è una scrittura privata, autenticata da un notaro, nella quale non siamo riusciti a mettere le mani, ma forse il notaro ce l'avrà. Ma non ce n'è bisogno, perché che si deve... Che questo è un falso ideologico? Il Conservatore del Pubblico Registro Automobilistico di Firenze ha falsificato il dato? Ha trasformato un mandato a vendere in una scrittura privata autenticata di vendita? (voce fuori microfono)
Avvocato Filastò: Che deve fare uno, quando sente dire una cosa di questo genere? Ingoia, ingoia. Ma fa male ingoiare, fa male anche alla salute, purtroppo. Oppure quando si sente un collega. Per carità, insomma, ora mettersi a polemizzare con l'avvocato Curandai, è un po' come sparare sulla Croce Rossa in questo processo. Il quale continua a sostenere che questo signore ha buttato la moglie dalle scale. Ma insomma, voglio dire, ma come si fa? 
Mario Vanni: Unn'è vero.
Avvocato Filastò: E unn'è vero no. Ma non è che noi... Ma non è vero perché lo dice lei, o perché lo dico io. Non è vero perché è agli atti. Con tutto quell'arzigogolo tremendo per cui dice: mah, qui c'è un episodio per cui deve essere per forza che ha buttato dalle scale la moglie. Non lo so, io sono stato a sentirlo e, via via, sentivo un fastidio proprio, un fastidio fisico, anche. Ora io voglio dir questo: il nostro mestiere, è un mestiere dialettico, Presidente. Noi tante volte, insomma, diciamo la verità, qualche volte si stiracchia un po', da una parte e dell'altra, perché abbiamo una tesi da sostenere. Io mi ricordo, ero molto giovane, e discutevo in Corte di Appello un processo a carico di uno di quei criminalacci che c'erano a suo tempo a Firenze, ora non ci son più, questa razza è sparita, è scomparsa. Era uno che, insomma, fosse arrivato oggi a farsi difendere da me, gli avrei detto: patteggiamento subito, non rompere le scatole, oppure giudizio abbreviato, non andiamo a romperci l'anima a fare un processo dove... All'epoca non c'era questa ottima istituzione che è intervenuta ora. E, allora, siccome alla Corte di Appello, vero, c'erano un paio di Presidenti che accidenti se ti davan legnate, eh, bisognava discuterlo. E, insomma, io mi ricordo, a un certo punto ero là che discutevo queste dichiarazioni fatte da questo imputato, che non stavano né in cielo e né in terra, e mi ricordo che dissi: 'ma, Signori della Corte questo le sballa' — dissi così - 'le sballa talmente grosse, quello che dice è talmente fuori da qualsiasi evidenza che insomma, alla fine deve essere vero'. E mi ricordo che Procuratore Generale c'era il professor Fileno Carabba, che si rivolse a mio padre, io ero molto giovane, e disse: 'ma lo senti? Lo senti cosa sta dicendo?' E io mi vergognai come un ladro, dico la verità, diventai rosso in Quel momento… queste arrampicatine sugli specchi, tipo quella di ieri della moglie buttata dalle scale, insistita, non l'ho fatta più, non si fanno più, non è corretto e non va bene. E, quindi, una di quelle cose che ci accorcia la vita è questa. Poi ce n'è un'altra, che è la peggiore, e che è quella di difendere un innocente. Difendere un innocente nella piena consapevolezza, ferma coscienza, consapevolezza, che lo è. Non lo augurerei al mio peggior nemico. E mi è capitato tante volte, e come si soffre. Di' la verità, Antonio. 
Avvocato Mazzeo: A bestia, a bestia.
Avvocato Filastò: Ora, ecco, quindi cose di questo genere, al difensore che fa il suo lavoro con passione alzan la pressione, fanno alzare un po' il tono, tante volte. E al Pubblico Ministero - che questi problemi lui, beato lui, non li ha - lo stile del difensore non piace. Io spero, però, che i miei Giudici mi abbiano capito; abbiano capito l'ansia di questo difensore; abbiano capito che questo difensore, quando per la prima volta si è seduto qui, a questo banco, accanto a quest'uomo, a questo signore, ha avvertito la necessità di modificare un clima. Modificare, ecco, lo devo dire, un pregiudizio, un atteggiamento, un'atmosfera pesante, che c'era su di lui. Ecco perché la ragione di quelle che sono state definite alternativamente intemperanze, oppure invettive. Invettive no, perché io non ho inveito mai con nessuno. Intemperanze forse, anche poco fa. Però, ecco, una cosa al Pubblico Ministero gliela voglio dire, da questo punto di vista: d'accordo col criticare lo stile, ovviamente nessuno da questo punto di vista è perfetto; ma prodursi nell'imitazione... Nell'imitazione, Presidente, si ricorda? Non l'ho presa tanto bene, m'é rimasta un po' sullo stomaco. Perché, vedete, io faccio questo mestiere da 35 anni, ho 60 anni; mi piace e l'ho fatto anche, Signori, per più di 10 anni in un periodo di tempo in cui era molto, molto difficile fare il mio lavoro, molto. Tant'è che ve'erano decine di interrogatori in cui arrivava un avvocato si accorgeva chi era la persona che l’aveva nominato e di quali reati era imputato e diceva: no, no, io rinuncio. E in tutta Italia a far quel lavoro, a farlo seriamente, si rimase in quattro o cinque, correndo su e giù per tutta la Penisola, per tutte le carceri. E mi ha fatto piacere, tempo fa, sentire che un alto Magistrato, proprio della Procura di Firenze — mi è stato riferito - parlando, diceva: 'se un c'erano quegli avvocati lì, noi i processi non si potevano fare'. É stata molto dura. Le rivolte nelle carceri. A Volterra mi son trovato accanto a una mina, io, per ore, parlando al di là di una barricata con dei rivoltosi che mi avevan chiamato per trattare. Un coltello, nelle mani di un altro che due minuti prima aveva portato via di netto il naso - e ho su questo una menzione fatta dal Procuratore Generale di allora - gliel'ho levato dalle mani io. E quando io mi son trovato a difendere molti imputati di terrorismo, io ho capito subito una cosa. Ho detto che sono orgoglioso di fare questo mestiere, perché in quel frangente, in quegli anni, voi Giudici, la struttura, la Giustizia ha resistito, il Paese è rimasto in piedi, per fortuna. E quando andavo nelle carceri da questi ragazzotti ragazzotti, giovani, meno giovani la prima cosa dicevo: 'te che hai intenzione di fare? Io ti difendo. Mi hai chiamato, io ti difendo. Ma te ti difendi? Perché se non ti difendi, guarda, c'è Tizio, Caio, Sempronio che gli va benissimo andare nei processi, sentire l'imputato che dice: mi dichiaro prigioniero politico, non ne voglio saper nulla, tre o quattro insulti ai magistrati e fine del discorso. Io non son di quel tipo. Io se ti difendo, ti difendo fino in fondo’. E così, in questo modo, alla fine, volendo difendere questa gente, da gualche parte bisognava rifarsi, come si potevano difendere alcuni di loro? Eh. Si cominciò a dire: mah, sarà che avete sbagliato, ragazzi? Sarà che eravate proprio di fuori? Non lo dicevo solo io, io ero uno di quelli che lo dicevano, lo dicevo anche prima. Perché quando me li ritrovavo, dove io mi occupavo di cultura, facendo teatro e altre cose e loro venivano là a rompermi le scatole, a contestarmi, dicendo che la rivoluzione col teatro non si faceva, li mandavo a quel paese e si litigava. Poi me li son ritrovati a difenderli. A difenderli. Ed è così, Signori, che, anche col mio modesto contributo, è maturato un fatto storico di un’importanza fondamentale, del quale nessuno, più si ricorda: la dissociazione del gruppo di Prima Linea in toro, come gruppo. Son come singole persone, come gruppo, tutti insieme. Andate a guardare chi li difendeva tutti. Chi era il difensore di tutti. Insieme al grande Magistrato, uomo di grandissimo valore, Giancarlo Caselli, facemmo una specie di riunione, convegno, al carcere di Bergamo, dove tutto questo maturò, prese corpo. Quindi, insomma, credo di non essere proprio l'ultimo arrivato. L'imitazione con la voce roca me la sarei risparmiata molto volentieri, anche perché mi ricorda che forse fumo troppe sigarette, che la voce diventa roca per quello, ne potrei fare a meno. Beh, un'imitazione che poi, fra l'altro, detto da uno che un po' se ne intende, lasciava un po' a desiderare, ecco. Un'esibizione direi, tutto sommato, di livello inferiore anche, allora, del dilettante: non dico alla Corrida di Corrado, ma insomma... Ma lasciamo fare. Il paragone del professore invece, detratte certe implicazioni, tipo la supponenza, io credo di non essere mai stato supponente in questo processo, perché non ho fatto nessun discorso abduttivo, avvocato Voena. So benissimo cos'è l'abduzione, la "abdution" del grande filosofo pragmatista Bierce e non la applico mai nei processi, per carità, non ci mancherebbe, altro. Forse non è nemmeno esatto come ve l'ha descritta l'avvocato Voena, perché in realtà l'abduzione, l'immaginazione, la fantasia, l'impregnarsi di un caso, il saltare al risultato attraverso l'intuizione. No, no, no, qui non si fanno queste cose, non si devono fare, son pericolose. Io ho fatto una, molto pedestre, analisi - insieme al collega Antonio Mazzeo, ci siamo divisi i compiti — molto pedestre analisi degli atti processuali, di quello che è il risultato in questo dibattimento e di quel che era risultato prima, nel corso delle indagini preliminari. Quindi, supponenza direi di no. Sì, alcune volte accenti forti, sì. Comunque, il professore - da questo punto di vista qua il paragone lo accetto , solo da questo punto di vista - il professare se dà le bacchettate, le dà in senso metaforico, il professore. 

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