martedì 7 luglio 2015

Processo contro Mario Vanni +3 - Udienza del 23 febbraio 1998 - Undicesima parte

Segue dalla decima parte.

P.M.: È proprio di quell'autunno-dicembre del '91, nel quale abbiamo cercato di dimostrare che sono avvenute tutte le cose. È quell'anno in cui, quell'anno di cui parla esattamente Ricci, Bartalesi e lo stesso Vanni. Cioè, tutti i fatti che poi il Corsi, per mania difensiva, impeto difensivo, anticipa al 1990, sono in realtà proprio del dicembre, ottobre-dicembre '91. Dove avvengono, sì, perquisizioni a Vanni; dove avvengono, sì, interrogatori a Vanni, interrogatori a Pacciani, perquisizioni a Pacciani. È il periodo caldo in cui giustamente Vanni, come ha sempre detto, aveva una gran paura, aveva paura di Pacciani. Quindi, non è vero che fosse il 19 luglio '90, quel discorso. Il discorso che ricorda bene, come contenuto, l'avvocato Corsi, è esattamente l'anno successivo, in dicembre. Quando veramente Vanni aveva ricevuto una, due perquisizioni. Aveva -vedete voi gli atti - aveva ricevuto più interrogatori, era una persona che era sotto 1'attenzione. Però, attenzione, non era inquisito, era solo un teste. Quindi è giusto che nel '91 si lamentasse; è giusto che il Corsi ricordi queste sue paure, le paure di Vanni. Però non sono sicuramente nel luglio '90, quando ci vuol far credere lui. Quindi, luglio '90 è un espediente difensivo che vale quel che vale, perché voi leggete il verbale del 19 luglio '90. Di queste cose non si parla e non può aver parlato Vanni a Corsi in quel giorno, o in quel periodo immediatamente successivo, perché in quel periodo, né perquisizioni aveva avuto, né interrogatori, né nessuna persecuzione. Sono esattamente l'anno dopo. Quindi è chiaro che il coinvolgimento conoscitivo, perché non c'è niente di più, di Corsi con questi fatti, da parte di Vanni, è successivo. E che sia avvenuto in piazza, che sia avvenuto sotto l'orologio, è un fatto talmente pacifico che è sotto ai vostri occhi, valutabile sulla base di elementi certi che vi consentono di dire che, quando è stato interrogato, sicuramente, perché a conoscenza di qualche... non so se segreto, di qualche elemento sul quale era bene che il Corsi non rimanesse coinvolto, non voleva far pensare di essere a conoscenza, ha pensato bene di dire: 'no, non lo sapevo. Io non ne so niente’. Ma, vedete, c’è ancora un elemento in più. Perché quando vi dice il Corsi subito dopo andò a nominare il difensore, nominò un altro. Ma insomma, le nomine dell'avvocato Pepi, in questo processo per Vanni, sono esattamente del 13 febbraio ‘96. Quindi è impossibile che, nel periodo precedente, qualche consiglio non lo abbia accettato dall’amico. Però è anche un argomento, questo, da valutare molto bene. Ma pensate Vanni che riceve una lettera di quel genere, la prima cosa che fa, ma che va dall’avvocato estraneo? La prima cosa, cerca l'amico. Cerca la persona, come dice il Ricci, che poteva dargli un consiglio, come dice il Lotti. Non potendo andare dai Carabinieri, non si va dal difensore tecnico, si va da quello che, sia difensore che amico, al quale si può confidare un segreto e dal quale si può accettare anche il consiglio - come dice il Lotti - gli consigliò di strappare la lettera. Tutto qua. Quindi, Corsi, secondo me, sul discorso delle date ha compiuto un'operazione di difficile credibilità oggi nei vostri confronti. Tutti gli elementi sono nell'altra direzione. Tutti questi fatti sono avvenuti l'anno successivo, proprio quando Pacciani era sotto gli occhi degli investigatori, aveva il riflettore puntato sui suoi occhi, era chiaro che scriveva lettere e nessuna lettera risulta spedita nel '90 come ci vorrebbe far credere l'imputato Corsi. Direi quindi che il reato di favoreggiamento è stato non solo compiuto, è stato sicuramente provato in questo processo. Ci fa giustamente, a mio avviso, pensare che Corsi, avvocato; Corsi amico di Vanni, Corsi che qualche volta andava al bar; che quello Zanieri ci ha anche detto che era presente il Corsi sicuramente nel bar quando quella notte Lotti parlò del fatto che si erano fermati a Scopeti, il Corsi qualche notizia in più da Vanni l'ha avuta. E quindi il suo comportamento nei confronti degli inquirenti che lo interrogavano sul punto, è il tipico comportamento di colui che vuole favorire Vanni per restarne fuori. Non ha scelto la strada di essere suo difensore, perché onestamente ci ha detto che non era suo compito. Ma è persona che, indipendentemente dal ruolo di difensore, come amico, è venuto a conoscenza di fatti sui quali è stato interrogato e sui quali ha taciuto. E quindi, con questa condotta, ha sicuramente commesso il reato a lui contestato. Signori, due parole ancora, dopo avere esaminato tutte le posizioni, sul movente di questi delitti. Mi sembra che siano due parole doverose. Due considerazioni che io faccio a voce alta sulla base di quello che è emerso. Perché tutti sappiamo che non c'è omicidio senza movente; e più il movente è semplice, più è semplice la soluzione del caso di omicidio; più è complesso, più ci sono, se ci sono, più di una ragione. E' chiaro che anche la oggettiva dinamica dell'omicidio, ne soffre. E quindi il fatto che si tratti, in questo caso, di omicidi così complessi, di una organizzazione così complessa, ci deve mettere in un'ottica di dire: guardate, cerchiamo di capire qual è il movente, ma non pensiamo oggi come Corte di Assise e come inquirenti di avere le idee chiare al cento per cento. Dobbiamo però avere oggi, davanti agli occhi, presenti quali che sono, come sempre ho fatto in questi tre giorni - almeno credo, almeno spero e questo era il mio scopo - valutare solo gli elementi obiettivi. Lo farei anche, e lo voglio fare sul movente. Perché più si riesce a verificare la sussistenza di un movente particolare, più si ha la verifica o meno della compatibilità, o meglio, della sicurezza dell'accusa mossa a alcune persone come in questo caso. E allora vediamo gli elementi obiettivi per capire il movente. Vediamo se qualcuno ci ha detto qualcosa e se sul discorso movente, molto importante, verifica finale di tutta questa costruzione dell'accusa, costruzione che ormai non è più un castello, ma è basata sui pilastri che voi avete potuto valutare in questi mesi, vediamo se gli elementi obiettivi a favore del movente, ci consentono di dire qualcosa di certo e non di fare illazioni. Vediamo su questo. Dice la difesa Vanni più volte: sarebbe l'ora che il P.M. decidesse qual è il movente. Signori, io sono rimasto veramente sconcertato da una affermazione di questo tipo. In un processo di questo genere, come se fosse il P.M. che deve decidere qual è il movente. È l’ultima cosa che il P.M. ha interesse a fare, o ha voglia di fare. O ci sono elementi obiettivi per capire qual è, oppure dobbiamo fare una operazione sui fatti. Non può essere il P.M. che prima decide e poi cambia, come vi è stato cercato di pensare che era il P.M. che aveva cambiato idea. Assolutamente no. Sempre esclusivamente i fatti. E continuiamo. Quali sono? Pacifico. Di serial-killer, oramai è inutile parlare. Ma non perché qualcuno ha cambiato idea. Perché coloro che avevano un tempo parlato di serial-killer, davanti a voi hanno spiegato come sono andate le cose. E per onestà intellettuale di quei signori, cioè i componenti l'equipe del professor De Fazio dell'università di Modena, io devo riconoscere oggi che sono stati quanto meno intellettualmente coerenti e hanno detto le cose come stanno. Bisogna riconoscergli una onestà intellettuale non da poco, in una vicenda di questo genere. Ovviamente le indagini erano già andate in una direzione molto chiara; che uomini normali erano e non serial-killer, ma la scienza che aveva dato quella indicazione prima è stata una scienza che ha dimostrato il perché l'aveva data, a quale fine e sulla base di quali presupposti. Quindi, la teoria che era stata ipotizzata in questo caso dello psicotico organizzato, unico, di cui ho parlato all'inizio; colui che studia le vittime da solo, studia i luoghi, è perfetto, non lascia nessuna traccia, è un superuomo, non è superata perché loro hanno cambiato idea, ma perché gli elementi obiettivi sono aumentati per consentire di dire come stanno le cose. Eh, il professor Beduschi e il professor Luberto, nella loro deposizione, mi sembra che abbiano fatto la chiarezza doverosa che ci si aspettava dai rappresentanti della scienza, sul plinto. Ma non perché era una pretesa, è perché hanno dato una spiegazione logica di come stavano le cose. E direi che ci hanno spiegato come l'idea del serial-killer o della... Loro non avevano mai parlato, usato questo termine né di psicotico organizzato, o di psicopatico disorganizzato. Loro avevano unicamente elaborato una serie di ipotesi sulla base di un presupposto. E questo ce lo hanno spiegato: il presupposto - ma era solo un presupposto - che l'autore materiale di questi fatti fosse unico. Se l'autore materiale di questi fatti fosse unico, la scienza poteva dare questo contributo. Che è quella relazione oramai datata 13 anni fa. Anzi, 14: 1984-1985 che ci hanno spiegato, ha - come tutte le cose umane - una data. E quindi, come data, è vittima di quelle che erano le circostanze di conoscenza di allora. Cosa vi hanno detto apertamente, onestamente, penso anche da veri scienziati, il professor Beduschi e il professor Luberto, che ci hanno spiegato erano quelli che avevamo a fondo studiato queste cose? 'Guardate...' - ricordate l'intervento Beduschi? -Dice: "Ci siamo sempre accorti anche all'epoca che la ricostruzione della dinamica materiale, soprattutto nell'omicidio dell'85, era una ricostruzione che stava troppo stretta, che avevamo noi necessità di farla, ma quando abbiamo descritto tutto quello che avveniva intorno alla tenda" - io ve l'ho riletto pochi giorni fa -"noi" - Luberto-Beduschi - "ci siamo resi conto che era stretta. Avevamo forzato le carte. Ma perché? Perché noi partivamo da un presupposto non dimostrato che fosse un autore unico. E quindi, per dire che era unico, ci trovavamo in difficoltà, perché avevamo due coltelli, avevamo qualcuno che sparava..." E infatti la dimostrazione è la lettura che quell'autore unico, o aveva dieci mani, o aveva dieci gambe. E tant'è, oggi loro riconoscono come la lettura di quegli atti di allora era una lettura che li aveva costretti a delle forzature. Ma delle forzature fatte con uno scopo ben preciso, non certo per accertare una verità processuale, ma quella di dare indicazioni agli investigatori. Questa è la realtà. Lo hanno detto, spiegandolo con parole chiarissime fino all'inverosimile: non era una teoria che serviva a giustificare come erano veramente andate le cose; era una indicazione nei confronti degli investigatori che non avevano nemmeno quella indicazione. Questo era lo scopo. Fu sbagliato a dare quell'incarico. Forse, non ha importanza. Ma, quando siamo in condizioni simili, è giusto che l'investigatore o l'inquirente, non tralasci nessuna ipotesi, compresa quella di farsi aiutare dalla scienza. Se poi la scienza, man mano che ha conoscenze maggiori, ti spiega come sono veramente andate le cose e ti spiega che, a quell'epoca, non avevano gli elementi per dire di più, quando la scienza ha l'onestà di dire: 'guardate, noi eravamo carenti di informazioni e facevamo solo delle ipotesi a fine di contribuire a indirizzare indagini...', guardate come siamo a monte: "Al fine di contribuire ad indirizzare indagini." Come si può oggi pensare: i periti di Modena avevano detto che era uno solo? No, avevano detto, in un'ottica di questo tipo, che partiva da questo presupposto non dimostrato, ai fini di indirizzare i piani investigativi. Niente di più. Non si può oggi dire: quella era una perizia che aveva dimostrato che era uno solo. No, aveva fatto del tipo di valutazioni sulla base di elementi molto parziali. Nel momento in cui gli elementi sono più forti, cioè elementi circostanziali che noi abbiamo portato, anche l'equipe del professor De Fazio ha spiegato come stanno le cose che vanno integrate e riviste. E quindi: 'noi' - ci hanno detto - 'eravamo partiti da presupposti di conoscenze sulla dinamica materiale talmente inconsistenti e talmente minime che non potevamo dare che una indicazione che è quella che abbiamo dato'. Ma se è emerso che si tratta e si è trattato di una dinamica materiale molto complessa, pacifico che non si trattava assolutamente che non di una impostazione della scienza, del fatto autore unico, non sorretta da alcun elemento. E quando gli elementi sono venuti, anche la scienza ha riconosciuto l'ambito di quel lavoro, dobbiamo vedere allora cosa abbiamo nel momento in cui diciamo sono più autori. 

1 commenti:

Unknown ha detto...

Di bene in meglio: Non solo il pubblico ministero non sa qual è il movente, ma su questo e su molto altro hanno "toppato" illustri scienziati della criminologia . Ottimo direi ! E la condanna successiva a Vanni , allora, su cosa si sarebbe basata? Sul nulla cosmico. Poi tireranno fuori la storia in base alla quale Vanni e Pacciani venivano pagati ( ricerca disperata del presunto movente ) da personaggi altolocati; ma questa ipotesi non portò processualmente a nulla . Allora mi chiedo : " Dov'era il movente per il quale Pacciani e il Vanni uccidevano ? " Visti i risultati processuali successivi ( vedi Calamandrei e la sua assoluzione ) non esisteva, o non esisteva cmq più. E per i 3 precedenti duplici omicidi, Calenzano '81, Mosciano di Scandicci '81 e Borgo S. Lorenzo '74 ? Non si sa !!! Questa non è giustizia , ma schizofrenia giudiziaria. Nessun paese civile può accettare un epilogo simile; non siamo più la Patria del diritto da tempo, ma solo del rovescio. Che tristezza.