venerdì 3 luglio 2015

Processo contro Mario Vanni +3 - Udienza del 23 febbraio 1998 - Nona parte

Segue dalla ottava parte.

« DOPO LA SOSPENSIONE » 

Presidente: Pubblico Ministero, allora può riprende.
P.M.: Sì. Grazie, Presidente.
Presidente: Per cortesia...
P.M.: Vorrei focalizzare un attimo la vostra attenzione ancora su un altro aspetto di queste imputazioni: quella relativa al reato di associazione per delinquere. Direi che è un reato che è contestato a tutti gli imputati. Ho già fatto le precisazioni che sapete, per quello che riguarda la posizione Faggi. Vorrei innanzitutto che voi aveste presente, quando vi troverete nella situazione di esaminare la sussistenza o meno di questo reato, che innanzitutto non si tratta di una contestazione o di emergenze superflue, perché è un profilo apparentemente superfluo. Nel momento in cui si può pensare ai reati di omicidio contestati a qualcuno, continuati, che importanza ha nell'economia di fatti simili esaminare la sussistenza o meno del reato di associazione per delinquere? È però una situazione che oggettivamente non è superflua. Perché questo dibattimento ha permesso di chiarire sul punto reato associativo degli elementi obiettivi che voi non potete trascurare. Non è una situazione che ci fa pensare a delitti isolati. Questo mi sembra che lo abbiamo appurato man mano, giorno dopo giorno. Non si tratta di delitti commessi occasionalmente e non si tratta di delitti motivati da pulsioni improvvise. Ecco, questo è chiarissimo. Vediamo allora se, stando così le cose, il dibattimento ha provato qualcosa di più. Sono inserite, queste condotte, in un contesto di semplice ripetizione, nel tempo occasionale, degli omicidi, di semplice continuazione di condotte, o c'è qualcosa di più? C'è la prova - e quindi è il 416 - che c'era, in capo a questi organizzatori e questi esecutori, di un programma stabile, portato avanti da persone legate stabilmente - è questo che ci consente di dire sussistente il reato o meno - con una organizzazione di persone e di mezzi? Tutto qua. Esiste fra queste persone - e intendo, a questo punto, gli imputati di questo processo, perché Pacciani, per quello che vale in questo momento, come tutti sappiamo... - esisteva o esìste, è esistito un vincolo associativo, continuato, solido e ininterrotto nel tempo, un programma criminoso al di fuori, al di sopra dei singoli delitti? Cioè, esisteva fra questi soggetti un'amicizia che era oltre la semplice amicizia per merende e un'amicizia che permetteva di dire che il vincolo per commettere i delitti era preesistente il delitto, molto forte, nella commissione e successivo, fino al delitto seguente? Esiste quindi l'organizzazione stabile? Ecco, che prove abbiamo avuto? Anche qua, operazione molto semplice: quella di valutare gli elementi obiettivi. Certo per fare i delitti i mezzi sono molto semplici, quindi dire che ci fossero mezzi per compierli, può essere anche mezzi che servono nell'ottica di una continuazione. Vediamo un attimo anche questo. Sicuramente avevano i mezzi, le auto. Va be', questo ci vuole... ci può interessare fino a un certo punto. C'era però sempre la famosa calibro 22 Beretta. C'era un'arma appositamente custodita, nascosta. Quei racconti frammentari che abbiamo qua e là. Qualcuno che forse se l'è passata di mano, con quel meccanismo che sappiamo, quei ricatti. Ma comunque, quest'arma che legava questi soggetti, indipendentemente dalla necessità una mattina, o meglio una sera, da mettersi in spalle l'arma, coltelli, spolverini, o cose simili, per fare il delitto. No, quest'arma è un oggetto - misterioso quanto vogliamo - ma che ha legato indissolubilmente questi fatti per tanto tempo e che ha aggregato queste persone. E al di là dell'attrezzatura logistica - coltelli, spolverini, lampade - c'è comunque anche quella scorta di proiettili, chiunque l'abbia fatta, Toscano o non Toscano, carabiniere o non carabiniere. Un approvvigionamento è un qualcosa che è in piedi sempre, indipendentemente dalla azione di quel giorno. Ci sono in proposito, per studiare, per vedere meglio questa organizzazione - al di là dei mezzi, nelle persone - quelle dichiarazioni molto specifiche di Lotti, che io sintetizzerei ora sommariamente a voi. E sono queste. 'Guardate, io sono andato a vedere la coppia della Panda nella piazzola di Vicchio più volte prima del delitto'. Addirittura c ' è andato con la Nicoletti, c'è andato col Vanni, c'è andato col Pucci. Tutte cose pacifiche, riscontrate da tutti e tre: Vanni, Pucci e Nicoletti. Quindi c'è uno studio dei luoghi e delle coppie. 'Conoscevo il posto. Abbiamo studiato la posizione, la possibilità di avvistamento anche dall'alto. Ci sono andato qualche tempo prima. Ci siamo andati con Vanni. Abbiamo seguito la coppia in auto sino al bar della stazione. Vanni mi chiesi dì indicargli come si raggiungeva la piazzola. Vanni c'è tornato anche con Pacciani. Il pomeriggio della domenica 8 settembre, agli Scopeti noi siamo andati a vedere prima. Avevamo programmato per le 23. All'appuntamento c'era addirittura un'altra auto'. Tutta una situazione che fa pensare, sicuramente, a un piano organizzato costante. Un sodalizio pronto ad agire al momento opportuno, su iniziativa di qualcuno. Sicuramente con la diretta direzione di Pietro Pacciani e del Vanni. Mi sembra che anche questo è, ai fini della lettura obiettiva di questi fatti, un dato pacifico. Ma quindi un'organizzazione compatta, sempre pronta ad agire. Vedete come lo studio è addirittura uno degli scopi, delle attività costanti, fisse di questi signori. Nell'84 e nell'85 è molto chiaro. Un programma da eseguire nel momento opportuno. Ma per la sussistenza del reato associativo è richiesta la prova non solo del programma e dell'organizzazione, ma anche vedere di capire se c'era una organizzazione che prevedeva degli esecutori e dei complici, o meglio delle persone che avevano compiti specifici. Perché se il compito è specifico di volta in volta, ancora più provata è l'organizzazione. È proprio quello che è avvenuto in questi fatti, la prova che vi è stata fornita. Addirittura è chiaro, è emerso chiaramente, che i compiti ognuno li aveva individuati, sapeva cosa fare. Era quasi - non si può usare la parola "commando", assolutamente - ma qualcosa di-organizzato, come può essere organizzata una cosa di questo genere. Chi spara sa dove deve sparare. Chi taglia sa dove deve tagliare. Nel momento della necessità un aiuto nel tagliare, un aiuto nel rincorrere il ragazzo francese. Una esecuzione quindi dei delitti, ognuno con compiti diversi. Addirittura prima e dopo: occultamenti o non occultamenti che ci siano stati; lettere o non lettere. Qualcuno che faceva da palo. Qualcuno che procurava i proiettili. Qualcuno che, come diversivo o no, o loro stessi, aveva il compito di spedire qualcosa dopo. Quindi una ripartizione dei compiti tipica di quelle organizzazioni criminali che fanno del delitto di omicidio uno degli scopi dell'esistenza stessa dell'organizzazione. Qui è molto chiaro, non ha importanza l'esecuzione materiale. Non ha importanza, per chi lavora, questa organizzazione, per quale scopo, qual è il movente. Non ha assolutamente nessun motivo, oggi, di chiedersi il perché della sussistenza. In questo momento, e al solo questo fine, dobbiamo riconoscere che il dibattimento ci ha dato ampi, elementi per capire che l'organizzazione, quanto meno fra l'81 e l'85 era stabile e ha compiuto azioni ripetute nel tempo, non come sodalizio di complici occasionali, ma come una organizzazione che prevedeva una direzione e una ripartizione di compiti precisi. Direi quindi che, per quanto riguarda gli imputati per i quali la prova è certa - come vi ho dimostrato, credo di avervi dimostrato, per Lotti e Vanni - la prova della partecipazione a un'organizzazione criminosa ex 416 è pacifica. Ovviamente per Faggi esistono tutte quelle altre perplessità che io cercavo di dirvi. Comunque sia inserito nell'organizzazione, ma cosa facesse e quale fosse il suo compito, onestamente, al di là di un favorire forse, di un essere presente in qualche momento, noi la prova non abbiamo nemmeno per questo reato. Passerei quindi all'esame dell'ultima posizione: quella dell'imputato Corsi Alberto. Sicuramente un'imputazione che riguarda fatti marginali, completamente diversi. Perché è imputato del reato di favoreggiamento, per avere favorito e aiutato Mario Vanni ad eludere le investigazioni delle Autorità tacendo quanto a sua conoscenza, in relazione a quella famosa lettera ricevuta da Pacciani... da Vanni, spedita da Pacciani. Questa è l'imputazione. Dietro questa imputazione, che è l'unico fatto obiettivo che si contesta al Corsi - quindi la portata della sua implicazione in questi fatti è limitata a questo episodio - il processo ha sicuramente fatto maturare in molti di noi, nel P.M. senz'altro, la convinzione che l'avvocato Corsi, o per amicizia o per professione, da Vanni abbia saputo qualcosa di più. Questa ovviamente non è la prova di un coinvolgimento in niente, del Corsi, in questi gravi fatti. È la convinzione che quel suo comportamento volto a favorire il Vanni, è perché Corsi, chissà come, certamente per parole dettegli da Vanni, certamente per avere letto qualche documento, qualcosa ha annusato, qualcosa ha capito, qualcosa ha saputo, qualcosa ha inteso. E sicuramente la sua condotta, quella che gli viene contestata, è nell'ambito di una conoscenza di fatti. E anche questo è una circostanza che deve essere molto chiara a voi, perché uno che sa qualcosa, se ostacola le indagini favorendo, è persona che commette un reato. Quindi dobbiamo prima essere sicuri che qualcosa sapesse, per potere essere sicuri che ha commesso un reato. Dobbiamo quindi avere la certezza di questo. Vediamo, sempre nello stesso metodo, elementi obiettivi per dire che l'avvocato Corsi qualcosa sapeva. Nel caso in cui questa prova il dibattimento ce l'avesse data, capite che il suo comportamento è sicuramente quello contestato. Vediamo. Vediamo cosa sapeva e cosa è provato che sapesse. Cerchiamo di capire perché ha taciuto. Il perché ha taciuto mi sembra che sia evidente da quello che ho detto finora, nel caso in cui provassimo la circostanza a monte. I fatti: sicuramente il fatto è quella lettera a Vanni. E il fatto storico della lettera a Vanni è pacifico. Ne ha parlato lo stesso Vanni - ora vediamo in che termini - ne hanno parlato una serie di persone che sono tutte diverse fra loro, a diverso titolo implicate come conoscenza in questa storia, che ci danno la certezza che la lettera è arrivata. E non si capisce come, se tutti l'hanno vista, e diamo la prova che ne ha saputo qualcosa anche Corsi, perché il Corsi è l'unico che la nega. E quindi vediamo se la situazione obiettiva è quella che io vi ho descritto. La lettera è esistita e ha destato paura in Vanni. Perché è chiaro che da questa lettera emerge, dalle sue stesse dichiarazioni e dalle dichiarazioni dei terzi, che dopo quella lettera sono nate ansie e timori, paure in Vanni. Lo ha dimostrato chiaramente col suo comportamento. Cioè, non era una lettera che poteva passare inosservata. E quindi noi dobbiamo crederlo quando questi signori dicono, avevano bisogno della consulenza di qualcuno più importante, che fossero i Carabinieri, che fosse un avvocato. È una lettera che a Vanni ha destato sicuramente paura e ansia. Non è andato dai Carabinieri. Lo ha detto lui stesso. 'Dopo che l'ho avuta volevo andare, ma non ci sono andato. Ho avuto paura delle conseguenze che poteva avere, che mi chiedessero qualcosa'. Sono state le sue parole, ora lo vediamo. 

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